Martedì, 22 Marzo 2016 08:15

Il Barolo Chinato: Il Piacere

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È consuetudine rispondere a complimenti e ringraziamenti con la formula “è stato un piacere” o “piacere mio”. Nel caso del Barolo Chinato – che è anzitutto prodotto per il piacere di chi lo consuma – questa formula supera il formalismo e diventa realtà.

Con il Barolo Chinato il mio piacere è nel sentirmi avvolto di profumi mentre armeggio con il pestello nello sminuzzare le spezie; è nel seguire un rito che è storia mia e di chi mi ha preceduto nel perpetrarlo; è nel provare e nello sperimentare, restando fedele ai gesti ed alla ricetta, potendo poi racchiudere tutto questo in ogni singola bottiglia. Con il Barolo Chinato il mio piacere è nel leggere lo stupore nel viso di chi viene a trovarci in cantina e lo assaggia per la prima volta; è nell’assaggiare le bottiglie di mio nonno e sentire come il nostro vino aromatizzato, nel mantenere il suo caleidoscopio di sensazioni, evolva in eleganza con il passare degli anni. Devo questa gioia alla piccola produzione che abbiamo voluto caparbiamente mantenere, e che ci ha permesso di rimanere fieramente degli artigiani. Resta un solo umanissimo rammarico… non poter assaggiare le mie bottiglie tra cinquant’anni per vedere l’effetto che fa. Ma ci stiamo lavorando.

Martedì, 22 Marzo 2016 08:08

Il Barolo Chinato: Il Segreto

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Il segreto del Barolo Chinato è nella ricetta ma ancor più in quella tecnica tramandatami da mio padre: piccoli trucchi, accorgimenti, tempi precisi dettati dai sensi ormai addestrati e che non sono scritti da nessuna parte. Si tratta di momenti di grande intimità, in cui ogni volta rivivo lo smarrimento ed al tempo stesso il fascino delle prime volte in cui bambino seguivo con lo sguardo l’esperienza e la saggezza di mio padre mentre compiva quelli che mi sembravano dei riti magici. Gli strumenti sono sempre gli stessi, con al centro della cerimonia il mortaio di ghisa ed il suo pestello, dentro al quale sminuzzo separatamente le spezie con infinita pazienza.

Raggiunta la giusta granulometria, queste verranno messe in macerazione in alcol, secondo un preciso ordine e rispettandone le tempistiche di estrazione, per un mese circa, al termine del quale l’alcol aromatizzato sarà unito allo zucchero ed al Barolo invecchiato e DOCG. Da quel momento inizierà un periodo di riposo, durante il quale tutti gli elementi si amalgameranno fino ad armonizzarsi. Il tempo è infatti un alleato fondamentale che permette alle spezie di perdere la loro durezza per fondersi in un tutt’uno, senza però mai annullarsi completamente. Alla fine di questo periodo, che aiuta il nostro Barolo Chinato anche a sedimentare la polvere di spezie ancora in sospensione, procediamo con l’imbottigliamento, senza filtrarlo per preservarne tutta la sua complessità.

Martedì, 16 Febbraio 2016 15:35

Controetichetta

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A chi di "Guide" si interessa:

Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro "Italian Noble Wines" scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica.

Non ho cambiato idea, interesso una ristretta fascia di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da circa 20 mila bottiglie l'anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia. Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d'esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre natura, non è stato premiato.

È un sogno? Permettetemelo

Teobaldo

 

Martedì, 16 Febbraio 2016 15:35

Anarchia

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Se posso permettermi il lusso del termine, da un punto di vista ideologico sono sicuramente anarchico. Sono uno che pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio.

(Fabrizio De André)

In questo spazio vorrei concedermi un ricordo poiché il termine "anarchia" è per me inscindibile dalla figura di mio padre. Sono diventato grande insieme alla cantina e a crescerci, entrambi, è stato un uomo libero e responsabile. Libero di esprimere concetti o elaborare progetti in controtendenza; libero dall’umana vocazione ad aggregarsi al gregge perché più comodo e rassicurante. Responsabile perchè sempre animato da un incrollabile rispetto per gli altri e da una propensione innata a schierarsi della parte più debole. Anarchia e civiltà; libertà e responsabilità. Crescere - per un figlio e per un'azienda - nella comunione degli opposti significa mettere in pratica una filosofia, assumerla a modello oltre la teoria. Mio padre ci ha lasciato in eredità il pensiero di anarchia, una propensione all’indipendenza che ci ha spinto a mettere in discussione (o a ripensare) anche il suo stesso lavoro al fine di evitare le trappole di una diversa ma indesiderabile omologazione. Rimane, indelebile, un approccio alla vita - e alla produzione - che tratteggia ciò che per noi veramente conta: impensabile seguire un qualsivoglia dogma, soprattutto quando si tratta di cavalcare una qualche scia imposta dalla moda. Quello che ci interessa è il senso. Un buon prodotto, espressione reale di quanto il territorio e l'annata determinano, ma con la sapienza necessaria a condurlo verso l'armonia e il piacere. Non ci prestiamo ad altro se non all'etica della terra e dell'uomo, crediamo alla razza umana e alla Natura ma partiamo dal piccolo per pensare in grande. Non cercateci dunque sui palcoscenici, aspettatevi invece di incrociarci in un posto inconsueto, in una situazione inaspettata che ci conceda però di condividere un bicchiere di vino ed un pezzo di strada.

Martedì, 16 Febbraio 2016 15:35

Rivoluzione

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Chi non sta da una parte o dall'altra della barricata, è la barricata.

(Vladimir Il'ič Ul'janov)

Molto spesso all'azienda Cappellano è stato associato il concetto di “rivoluzione”, un ossimoro se si pensa alla già trattata fama di “tradizionalisti”. Eppure tradizione e rivoluzione sono due facce della stessa medaglia - il piglio rivoluzionario o se vogliamo “anticonformista” - pare iscritto nei geni dei patriarchi della Cappellano.

Un nonno, Francesco, così testardo da lasciare le Langhe per costruire un attività connessa al vino, però in Africa (più precisamente in Eritrea, allora colonia italiana).

Un padre, Baldo, ritornato in Italia con una famiglia ed il sogno di ricostruire la cantina di famiglia partendo quasi da zero, riacquistando una parcella in uno dei cru - Gabutti - tra i più prestigiosi della Langa, producendo nuovamente Barolo Chinato con la vecchia ricetta, e trasformando in realtà l'antico miraggio del padre: una vigna di nuovo a piede franco.

Folli, sognatori, incoscienti. Visionari, coraggiosi, precursori. Questo e molto altro si è detto di loro, questo - e molto altro - si evince dalle loro vicende, qui solamente tratteggiate. Eppure questi sono tutti tratti che contraddistinguono le personalità che determinano il cambiamento, la rivoluzione. Ci piace pensare che questo piccolo germe di follia che fa intravedere un futuro migliore, un sogno per cui lottare, sia ormai diventato endemico, che permei me così come tutte le splendide anime che hanno consentito alla cantina di andare avanti. Crediamo fortemente che per rendere degna un'esistenza sia necessaria una giusta motivazione, alimentata da un fuoco. Potremmo chiamarla causa, potremmo chiamarla utopia. In ogni caso inseguirla ci rende felici e, speriamo, ci renda parte attiva e costruttiva di questo meraviglioso sistema mondo.

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

Oggi

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Ricevetti, ancora bambino, l’onore ed il compito di proseguire la storia del Barolo Chinato Cappellano, attraverso l’insegnamento della ricetta, della tecnica e delle piccole accortezze. Lasciato libero di approfondire le mie inclinazioni al di là della produzione vinicola, ho trascorso gran parte della giovinezza tra il mortaio e lo studio della chimica. Una volta intrapresa la carriera accademica qualcosa però cambiò di fronte ad un tramonto tra le vigne. Qualcosa non andava e mi resi conto che l'indole e l'appartenenza mi stavano riportando al vino e alla cantina.

"Bisogna essere un po' matti per voler trascorrere la vita a guardare il cielo", mi ripeteva mio padre, alludendo alla preoccupazione relativa alle intemperie che segna la sorte di un contadino... effettivamente però questa frase sottintende giustamente una buona dose di romanticismo. Sono - purtroppo - un romantico come mio padre e - come mio padre - indubbiamente un po' folle. La sua scomparsa è stata una perdita ed un dolore incredibile, per tutti noi e per la cantina. In pochi avrebbero scommesso sul fatto che ci sarebbe stato un futuro. Invece le notti insonni di chi ha perso qualcuno di irrecuperabile sono state la mia, la nostra, risorsa. Siamo rimasti in piedi e abbiamo cambiato tante cose. Abbiamo riportato ordine nel caos creativo di quel genio che era Baldo, abbiamo sistematizzato, ristrutturato, perfezionato. Credo, come lo credeva mio padre, che la discriminante siano il rispetto e la tutela della natura, dell'ambiente. Non scendo a compromessi se si tratta di interventi in vigna o in cantina e mi ritengo fortunato perché ho potuto accostare gli insegnamenti contadini alla conoscenza tecnica e scientifica delle pratiche colturali biologiche. Credo che tutto ciò non rappresenti un limite alla correttezza ed alla qualità organolettica: la mia sfida è condurre la natura, consentirle di esprimersi. Credo inoltre che la differenza la facciano sempre le persone, che siano le relazioni a dover essere coltivate e valorizzate. È un impegno, quello che devo alla mia felicità, alla memoria di mio padre e ai volti che mi sono accanto.

La Cantina Cappellano è ciò che è oggi grazie ai miei avi, a mio padre. Ma anche grazie agli amici produttori che mi sono stati accanto e mi hanno sostenuto quando ho perso mio papà; a mia madre che è sempre stata ed è tuttora un pilastro dell'azienda; a ciascuno dei miei collaboratori che, chi da sempre e chi di recente, credono e amano la filosofia che anima la cantina Cappellano. Ed oggi, mentre ancora con gli stessi strumenti utilizzati dal mio prozio frantumo le droghe, posso dirmi orgoglioso di avere tra le mani la sintesi di un secolo e mezzo di storia della mia famiglia.

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

L'era di "Baldo"

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Mio nonno, Francesco Augusto Cappellano, anch’egli enologo, proseguì la strada tracciata dai suoi avi, lasciando il testimone al figlio Teobaldo, mio padre, sul finire degli anni ’60. Dopo un’infanzia trascorsa in Eritrea, Teobaldo prese il timone dell’azienda modificandola completamente: dimensioni ben più ristrette e massima attenzione alla qualità, secondo direttrici bel precise. Da un lato un'inedita attenzione al territorio, fatta di radicamento ed impegno. Le Langhe di quegli anni, ben lungi dall'attuale riconoscimento, erano terra difficile che Teobaldo si impegnò a promuovere e difendere attraverso un'attiva e instancabile partecipazione al Consorzio del Barolo e Barbaresco e come presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo. Al contempo, la recente fama e le difficoltà economiche di chi produceva vino rendevano troppo allettanti le incursioni di un approccio industriale alla viticoltura. Teobaldo fu tra i primi ad affermare la necessità di un ripensamento della produzione, ritrovando l'armonia con le radici del lavoro contadino e assumendo la responsabilità di una tutela ambientale.

Negli ultimi anni della sua vita è stato presidente dell'associazione Vini Veri, in prima linea nella promozione di un approccio naturale alla produzione vinicola, impegnandosi soprattutto nella formazione di una rete consapevole tra produttori, orientata alla ricerca ed al sostegno reciproco. D'altro canto l'orientamento alla qualità imponeva una attenzione al Barolo Chinato, che negli anni Sessanta stava conoscendo un momento sfortunato a causa del proliferare di nuovi concorrenti di scarsa fattura. Teobaldo continuò caparbiamente a credere nella ricetta scritta a mano da suo zio Giuseppe, ricevuta dal padre Francesco in busta chiusa e sigillata. Con la delicatezza e la perseveranza che gli erano propri, lungamente combatté i pregiudizi che avevano investito il Barolo Chinato.

Dopo anni di lotte riuscì nel suo intento, riportando l’elisir al prestigio che gli spetta di diritto e che ora vanta; custodendo gelosamente, sia nel periodo difficile che in quello fortunato, la ricetta dell’avo e difendendone l’artigianalità.

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

Il '900

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All’Esposizione Universale di Parigi (la stessa in cui fu eretta la Tour Eiffel per commemorare il centenario della Rivoluzione Francese), la cantina di Giovanni Cappellano vinse la medaglia di bronzo. Il mio perspicace bisnonno si era probabilmente recato in Francia per conquistarne il mercato, essendo le viti francesi in quegli anni già colpite dalla fillossera. Giuseppe, fratello di Giovanni, si laureò invece in farmacia, scegliendo la strada industriale vinicolo - farmaceutica. Produsse in quel periodo mosti concentrati curativi nonché le prime gelatine d’uva (guadagnandosi una medaglia d’oro alla mostra internazionale), ed inventò il Barolo Chinato. L’avventura industriale di Giuseppe durò poco: nel 1912 suo fratello Giovanni morì, colpito da una febbre tropicale contratta in Tunisia (ove si era recato per cercare un vitigno resistente alla fillossera), e Giuseppe scelse pertanto di occuparsi dell’azienda di famiglia.

Sabato, 23 Gennaio 2016 11:19

Grappa

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grappadibarolo

 

 

La curiosità di un vignaiolo, il talento di un grande artigiano. La nostra grappa nasce così, dal desiderio di valorizzare quella parte dell’uva delle nostre vigne che viene meno considerata e dalla scelta di affidarla a una sensibilità come quella di Gianni Capovilla. Un’esperienza che per noi è stata un po’ come un viaggio sul “lato nascosto della luna” alla scoperta del valore aggiunto del frutto che coltiviamo. Capovilla – a nostro modo di vedere il distillatore più adatto per ricavare il meglio di ciò che resta dell’uva dopo la fermentazione e preservarne la purezza - invecchia il distillato al freddo durante la stagione invernale affinché acquisisca eleganza, poi lo porta a gradazione con acqua di sorgente. Ne nasce una grappa disponibile in quantità limitate (siamo sotto le trecento bottiglie) ma contraddistinta dalla pulizia e dalla purezza che cercavamo.

Sabato, 23 Gennaio 2016 11:18

Dolcetto

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dolcettoConsidero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco

(Erri De Luca)

Un altro grande vitigno del Piemonte, un’altra declinazione del vigneto Gabutti. Una Barbera classica, femminile nella generosità e maschile nel portamento, che trova la sua cifra distintiva in un’acidità spiccata che sorregge morbidezze e frutto e rende vibrante il quadro gustativo fino al lungo finale. E’ un vino che dà l’idea di non essere mai definitivamente risolto, di essere in continuo divenire; come tutti i rossi di grande personalità, si concede tutto il tempo necessario per disvelare potenzialità, carattere e piacevolezze. E’ da sempre nostra cura assecondarlo in questa attitudine, imbottigliandolo e immettendolo in commercio soltanto quando reputiamo sia giunto il momento e nel formato che ci pare più adatto. Va de sé che solo una condotta naturale e la propensione artigianale ci consentono di arrivare al risultato di una Barbera autentica, sempre riconoscibile ma mai uguale a sé stessa, familiare e spiazzante in virtù della sua capacità di evolvere come un racconto, anno dopo anno come fosse una pagina dopo l’altra.